Racconto di
Fausta Samaritani
(continua dal
numero 13)
La nave da
guerra inglese Exmouth arrivò a Messina da Malta, scortando un cargo.
Gaeta era caduta
il 12 febbraio 1861 e lex re Francesco II era andato in esilio a Roma.
Scortata da un silenzio glaciale, la corvetta francese Mouette,
con a bordo il re e la regina detronizzati e con tutto lequipaggio allineato
in coperta, sfilò in mezzo alla Squadra navale italiana. Ma quando passò accanto
alla pirofregata Vittorio Emanuele, si levò dai ponti della nave
italiana un rumore prolungato e ignobile, come prodotto da una immane chitarra
scordata. Invano i fischi dei nostromi tentarono di arginare la marea delle
risate che salì dalle nostre navi.
Il maresciallo borbonico Fergola, che con 5.000 uomini teneva la rocca di Messina, rifiutò di consegnarla. Il generale Cialdini si preparò dunque allassedio della cittadella di Messina.
Barche e mercantili,
ancorati nella Baia Paradiso, accolsero a bordo i messinesi fuggiaschi. Nella
Rada delle Grotte, la real Squadra navale sarda attendeva lordine di
intervento dallammiraglio Persano.
Fergola intimò
a tutte le navi lordine di lasciare immediatamente il porto di Messina.
James Aylmer
Paynter, capitano dellExmouth, a mezzo telegrafo chiese ordini allammiraglio
Mundy, che era a Napoli con lHannibal e con altre navi inglesi.
Mundy gli ordinò
di attendere.
Nelle prime
ore pomeridiane del 3 marzo 1861 la Squadra navale inglese, comandata da Mundy
e proveniente da Napoli, passò lo Stretto di Messina, salutata dalle navi
da guerra sarde con salve di cannone. Lammiraglio Persano intimò il
blocco totale del porto di Messina, a partire dalle ore 9 di mattina del 5
marzo: lExmouth levò le ancore con largo anticipo, il 4
marzo 1861 prima dellalba.
Sulla costa
calabra erano ben visibili i resti del brigantino livornese Adele,
naufragato per un colpo di cannone sparato dalla cittadella di Messina. Nella
Rada delle Grotte erano allancora la Maria Adelaide, ammiraglia
della Flotta sarda, con il Conte di Cavour, lAuthion
e lOregon.
Poco dopo le
6, spuntò il giorno.
Sul libro di
bordo dellExmouth (fotocopia del periodo 1-31 marzo 1861
è a Roma, alla Fondazione I. Nievo) è scritto che il vento spirava da N NE,
forza 3 e che oltre lo Stretto di Messina si addensavano nubi. Paynter scelse
una rotta N 36° O, puntando decisamente in direzione di Capri. Il vento rinforzò,
proveniente da S O. Pioveva.
Prima di Capri,
lExmouth virò verso la Bocca Piccola e a mezzodì del 4 marzo
la passò. Spirava un libeccio forza 2. Barometro, in lieve caduta, a 29,95.
La nave da guerra inglese si diresse allancoraggio, con la sola prolusione
del vapore.
Paynter fissò
i turni per i suoi 90 uomini di equipaggio e per gli 850 marinai imbarcati.
Dal libro di
bordo si ricavano anche queste notizie:
_ Notte fra
il 4 e il 5 marzo 1861. Alle 2 e 20 spuntò un vapore da S O, cioè dalla Bocca
Grande di Capri. (Era forse la nave della Marina Militare sarda il Conte
di Cavour? I mercantili di regola non arrivavano in porto a notte fonda,
quando la Sanità Marittima aveva chiuso gli uffici e non cera il permesso
di sbarco). Il vento spirava da O SO, forza 3-4.
_ Alle ore
4 della mattina del 5 marzo il libeccio rinforzò, soffiando da 28 a 40 miglia
nautiche allora. Il mare si alzava. Unora dopo il vento decrebbe, spirando
da 17 a 33 miglia lora. Mare mosso e pioggia leggera.
_ Il 5 marzo,
alle ore 2 e 30 del pomeriggio, al porto di Napoli arrivò un vapore mercantile.
(Era forse il Pompei? Probabilmente sì, perché era partito
due ore dopo lErcole e impiegò circa 24 ore per arrivare
a Napoli)
LExmouth
rimase ancorato fino al 24 marzo. Sul suo libro di bordo, dal 2 al 24 marzo,
non ci sono annotazioni che riguardano naufragi.
Il deputato di Salute di regola assisteva i legni arrivati non oltre la mezzanotte; fino alle 3 o alle 4 di notte si poteva anche accostare, ma non sbarcare. Allimboccatura del porto di Napoli, presso il Lanternino, il deputato di Salute domandava: da dove venite? Se dalla risposta risultava la provenienza da un porto in libera pratica oppure da porti del Regno, faceva accostare il legno e lo teneva a vista; se invece limbarcazione proveniva da siti in contumacia la dirigeva alla Piccola Rada e la metteva in quarantena.
Oggi i riferimenti storici sul clima partono dai dati raccolti nel Novecento.
Ai primi di
febbraio 1861 ordinarono al capitano di corvetta Giuseppe Paulucci di armare
il Conte di Cavour, di scegliere un equipaggio di 130 uomini e
di raggiungere Napoli. Paulucci fece issare a bordo un cannone a bomba, una
corronata, obici su affusti a ruote e obici da sbarco. Il 10 febbraio, sul
Conte di Cavour Paulucci imbarcò truppe di Cialdini per portarle
a Napoli.
Il 13 febbraio
udì la batteria della Lanterna di Napoli sparare per festeggiare la caduta
di Gaeta.
Paulucci si
portò quindi a Mola, filando lancora accanto alla nave ammiraglia, la
Maria Adelaide, e vide uscire da Gaeta le truppe borboniche sconfitte.
Imbarcò 2.000 prigionieri e li sbarcò a Ischia: sullisola si temevano
disordini. Tornò poi a Gaeta, per prendere a bordo un battaglione di nostri
soldati e distribuirli tra Capri, Ischia e Bagnoli. Il 21 febbraio si ancorò
nuovamente a Mola di Gaeta, a disposizione del generale Cialdini che il 25
gli diede ordine di fare rotta per Messina.
Costeggiati
da presso gli ancoraggi della Rada Paradiso e quelli della Rada delle Grotte,
alle prime case di Messina Paulucci vide allancora la Maria Adelaide
che laveva preceduto.
Il 3 marzo
ultimava la provvista di carbone, avendone già caricati a bordo 1.569 cesti,
quando dallo Stretto di Messina vide uscire una Squadra inglese, composta da tre
vascelli e da un avviso, che si dirigeva verso sud.
Il Conte
di Cavour, sotto il comando di Paulucci, salpò la mattina del 4 marzo
dalla Rada delle Grotte e raggiunse Napoli nella notte. A bordo aveva anche
il marchese Giustiniani, consegnato agli arresti, e qualche marinaio ammalato
che doveva essere trasportato urgentemente in ospedale.
A Napoli, Paulucci
ebbe ordine di organizzare un trasporto di truppa, passeggeri e materiali
per Genova. Prese a bordo 4 deputati, 18 ufficiali, la sorella di un ufficiale,
la moglie, il segretario e la cameriera di un deputato, la governante di un
altro deputato, 155 soldati del Genio, 18 assistenti ai cavalli, 22 cavalli
chiusi dentro casse, 10 casse da cavallo vuote, inoltre proiettili, sacchi
e perfino 9 carri.
Il 7 marzo
il Conte di Cavour mosse dal porto Militare di Napoli e a corsa
diretta, il 9 marzo, raggiunse Genova. Il 10 marzo iniziava lo sbarco di uomini,
materiali e cavalli.
Il capitano
di corvetta Paulucci
chiese allora la revisione completa delle macchine. Gli comandarono invece
di tornare subito a Napoli, per un altro carico.
Il Conte
di Cavour era quindi allancora, a Napoli, molte ore prima che
lErcole raggiungesse il suo punto di non ritorno, poche
miglia a sud delle coste di Capri.
Nessuna altra
nave da guerra, italiana o straniera, nella notte fra il 4 e il 5 marzo 1861
navigò da Napoli a Messina. Il 4 marzo il mercantile francese Vatican,
che il 2 marzo era partito da Malta con il comandante Pellissot, salpò
da Messina andò a Napoli, dove giunse il 5 e da dove ripartì il 6 per
Civitavecchia, Livorno e Genova.
Ippolito Nievo
non aveva chiesto limbarco su una nave dello Stato; né Paulucci ebbe
ordine di portarsi a Palermo, per imbarcare un gruppo di funzionari della
vice-Intendenza che dovevano recare a Torino documenti amministrativi. Il
Conte di Cavour aveva passato la notte fra il 3 e il 4 marzo allancora
nella Rada delle Grotte, a pochi chilometri dal faro di Messina dove era il
posto telegrafico.
Ma da Palermo
non vennero ordini né messaggi per Paulucci.
Il 4 marzo
1861 partirono da Palermo per Napoli quattro imbarcazioni, i due vapori di
cui abbiamo detto e due tartane: la “Maria dell’Arco” con 66 tonnellate di
merce e l’“Angelo Raffaele” con un carico di 68 tonnellate.
Il capitano
del mercantile “Pompei” era siciliano e si chiamava Felice Corrao. Il “Pompei”
era un vapore a ruote di costruzione inglese, varato nel 1831 e appartenente
ad una Compagnia concorrente dei Florio. Era più veloce dell’“Ercole”. A bordo
c’erano 31 uomini di equipaggio, 11 passeggeri_ tra cui due marinai e due
inglesi_ e un carico di 293 tonnellate.
Oltre la Lanterna
di Palermo il “Pompei” incrociò la tartana “Maria del Carmine”, che sotto
la guida del capitano Mennella veniva da Napoli con un carico di sugna. Spuntò
poi un’altra tartana, più piccola. Si chiamava “Anime del Purgatorio” ed era
partita da Napoli tre giorni prima, con sei uomini di ciurma e vento contrario.
Corrao non
vide il tramonto, perché il cielo era coperto e pioveva. Con lo scarroccio,
ma senza mutar rotta, sarebbe passato a poche miglia ad ovest di Capri. Ordinò
di accendere i due fanali, verde a destra e rosso a sinistra, che erano visibili
per 2 miglia. Ogni cinque minuti il “Pompei”, secondo le norme stabilite il
28 gennaio 1859, emetteva il suono di uno zufolino a vapore.
Qualcosa poi
non andò per il suo verso.
Corrao vide
l’“Ercole”, per l’ultima volta, a 10 (o a 20) miglia a sud di Capri, fra le
3 e le 4 della mattina del 5 marzo. Il vento allora, da favorevole mutò in
contrario, da libeccio girò a tramontana: era vento di punta e alzava il mare.
Si addensava una spessa nebbia. Il “Pompei” ridusse a 1/2 forza, poi deviò
perché la tramontana lo costringeva a bordeggiare.
Contro il riflesso
della Lanterna di Napoli e dei mille lumi a gas della città e della costa,
Capri sembrava un macchia nera. A proiettare luce oltre l’isola, non c’erano
allora che il faro di Punta Campanella e quello del porto di Napoli, che illuminava
la Bocca Grande di Capri, per due miglia e mezzo oltre le coste occidentali
di questa isola.
Il “Pompei”
raggiunse gli ancoraggi dopo 24 ore di navigazione. L’8 marzo proseguiva per
Genova, facendo scalo a Livorno. A Genova, Corrao fece scaricare casse di
limoni, di zolfo e di manna, che è una resina vegetale usata in preparati
farmaceutici.
Nessun veliero,
nessun altro vapore navigò quella notte nel Basso Tirreno, da Palermo verso
Napoli; nessuno oltre il “Pompei” e l’“Ercole”: in particolare, nessuna imbarcazione
inglese, né mercantile né da guerra.
La testimonianza
del corrispondente del giornale torinese “Il Diritto”, che forse era proprio
Raffaello Carboni, potrebbe essere un depistaggio, di cui il corrispondente
da Palermo non poteva avere alcuna responsabilità.
Da Napoli,
il 4 marzo salparono due tartane che raggiunsero Palermo il 6. Da Palermo
a Napoli, come abbiamo detto, ne partirono quel giorno altre due che arrivarono
felicemente in porto dopo 48 ore di viaggio.
Le tartane
sì, ma l’“Ercole” no.
Nei giorni
successivi il tempo peggiorò, tanto che le tartane partite da Palermo impiegarono
tre giorni per raggiungere il porto di Napoli.
L’ 11 marzo
nel Basso Tirreno ci fu burrasca grossa e tre barche da pesca rischiarono
il naufragio sulle coste calabre.
Ma solamente
l’“Ercole” andò perduto.
Era finito
a matri ti chianci, in malo modo; o forse aveva visto la cura ’i
drau, la coda del drago, un essere mostruoso che succhia l’acqua dal mare.
Allora si è salvato solamente se un mancarusu, un mancino, ha tagliato
la punta malefica della coda, perché così il mostro si dissolve, lasciando
cadere tutto l’armamentario delle streghe. E poiché il capitano si chiamava
Mancino, in Sicilia si sparse la voce che quelli dell’“Ercole” erano tutti
salvi in Tunisia, dove una volta si rifugiavano i siciliani più miseri, perseguitati
e derelitti.
© 2002-2001 Fausta
Samaritani